Flexare a lavoro

N.B. se sei un Boomer e non sai cosa vuol dire flexare, te lo spieghiamo subito! Flexare è un termine usato dai giovani per indicare l’azione di ostentare, vantarsi rispetto qualcosa. Al tempo stesso, la sua radice appartiene a Flex, flessibile. Ecco dunque il gioco di parole per parlare di flessibilità all’interno del proprio contesto lavorativo con un pizzico di “pride”.

In un mondo in continuo cambiamento, e in cui la pandemia ci ha segnati a 360° per il nostro avvenire, anche il mondo del lavoro si è reso conto della necessità di rendersi più “flexible” rispetto ai tempi. Eppure già da prima c’erano delle realtà simili, proprio vicino a noi! Ad esempio Renault dal 2005-2006 ha cominciato a investire sulla collaborazione a distanza: si collaborava a distanza stando nello stesso ufficio e già prima della pandemia si aveva la possibilità di fare qualche giornata in smart working. Con la pandemia, c’è stato un acceleramento all’introduzione dello smart-working in tantissime realtà, costruendo intorno a esso anche un contenitore socio-legislativo

Cosa si intende però con flessibilità? Possiamo definirla come un atteggiamento al lavoro che non si rifaccia necessariamente agli standard pre-imposti da una cultura lavorativa tradizionale (presenza in ufficio, orario di lavoro 9-18…) ma che abbia degli elementi che si discostano da questi pilastri-antenati.

Elementi su cui “flexare”

Uno degli elementi è proprio l’orario lavorativo, che in un’ottica flexible può subire grandi variazioni.

Ad esempio, è possibile “flexare” sull’orario di inizio e di fine: la nostra Maria, per gli amici Mary, si è appassionata di teatro e ha deciso (per la sua salute mentale e sociale!) di iscriversi ad un corso di teatro. Il corso però inizia alle 18:00, quindi Mary decide di iniziare prima il suo orario lavorativo (mettiamo caso, alle 8:00) per poter andare poi a fare tutte le improvvisazioni che tanto ama fare.

Oppure esiste anche la soluzione delle ore compresse: il nostro amico Emanuele, Lele per gli amici, ha l’affidamento di sua figlia durante i weekend. Decide dunque di svolgere le sue 40 ore settimanali non in 5 giorni, ma in 4, così da poter portare sua figlia a pescare con lui nel weekend.

Abbiamo un altro caso, quello delle ore annualizzate: Roxanne, da sempre chiamata Roxy, ha i genitori in America e il suo lavoro segue una certa stagionalità, ossia lavora molto nel periodo Settembre/Febbraio. Decide dunque di svolgere la maggior parte delle sue ore annuali in quel periodo dell’anno per poter passare i restanti mesi con i suoi genitori in Vermont.

A voi è venuta voglia di scoprire qualcosa in più sull’orario flessibile? L’Autrice, mentre vi parla, pensa alla sua campagna in Sicilia e si immagina tra i limoni…

Ma tutto questo, quanto è voluto e ricercato? Le persone flexano davvero per la loro flessibilità? Beh, vi sarà capitato l’amico o la cognata che quando gli parlate della giornata infernale che avete avuto e del cesto dei panni sporchi pieno vi risponde “Ah, io faccio smart-working due volte a settimana” (flexando tantissimo anche nel tono di voce).

Difatti, secondo una ricerca che risale al pre-COVID in U.K. (EY & Timewise, 2017), l’87% dei dipendenti vorrebbe un lavoro flessibile e questa percentuale sale al 92% per i millennial.

Ma allora, se c’è la domanda, ci sarà anche un’offerta…no?

Beh qualche realtà si sta muovendo in tal senso, andiamo a vedere chi e come.

Conoscete UpWork? Si tratta di una piattaforma in cui freelance possono dare i propri servizi a imprese, creando un nuovo flusso di lavoro. Qui è stato istituito l’Hump Day: ogni mercoledì è possibile lavorare da una postazione diversa, purché abbia il Wi-Fi. E quindi potete sbizzarrire la vostra creatività e andare a lavorare anche al parco se c’è un McCafè vicino!

CaseNEX invece propone un modello total-digital, in cui i dipendenti lavorano prettamente da casa e si focalizzano sul raggiungimento di goals giornalieri.

Infine abbiamo un’azienda molto conosciuta, ovvero 3M, che ha ideato il nuovo modello di lavoro Work Your Way da utilizzare per i propri dipendenti. Secondo questo approccio, è stata data la possibilità di concentrarsi sugli obiettivi proponendo la modalità lavorativa più adeguata alle proprie esigenze. Dunque il dipendente sceglie autonomamente quanto lavorare da casa e quanto stare in smart-working. Inoltre, i nostri Roxy, Mary o Lele scelgono anche i propri orari, in un’ottica di auto-gestione del proprio lavoro in cui riveste un ruolo importante il concetto di responsabilità.

Quando “flexare” diventa difficile

Tutto rose e fiori…e allora perchè le aziende non ci lasciano flexare quanto e quando vorremmo?

Beh, perchè tra le rose ci sono anche le spine! Le nuove soluzioni che seguono la flessibilità trovano alcune difficoltà che le aziende stanno provando ad affrontare e che potremmo riassumere in questi tre focal point:

  • mantenere una buona comunicazione e una buona “connessione” con l’azienda e i suoi valori  (o engagement)
  • costruire una dimensione sociale forte tra i dipendenti in grado di abilitare la collaborazione e l’apprendimento. A chi di noi infatti non è capitato di scoprire un’informazione importante per il nostro lavoro a mensa o davanti la macchinetta del caffè? O di trovare un aiuto/supporto semplicemente parlando con un collega che sta accanto a noi? 
  • disegnare e applicare  un nuovo modello organizzativo in grado di definire un lavoro annuale collegato a obiettivi e monte ore, bisogni e competenze per operare in una nuova dimensione  

E voi, come e quanto vorreste flexare nel vostro lavoro?

Foto copertina di Vernie Andrea

 

Autore /

Psicologa con la passione per le organizzazioni. Lavora pensando ai contesti, alle relazioni e alle emozioni. Viaggiatrice incallita e insospettabile nerd, ama i giochi da tavolo e il teatro.

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