Esperienze di Innovazione Sociale: intervista a Fabio Sgaragli
- Mina Distratis
- Settembre 14, 2021
FabriQ e Incet, due esempi concreti di traformazione dei quartieri
Se l’innovazione sociale ha come obiettivo finale quello di migliorare la condizione di vita delle persone (come singoli e come Comunità), le città possono essere considerate a tutti gli effetti il campo di azione privilegiato per sperimentare soluzioni di cambiamento e trasformazione in grado di migliorare la qualità della vita degli abitanti. Abbiamo approfondito l’argomento con Fabio Sgaragli (Head of Innovazione della Fondazione Giacomo Brodolini) che, attraverso la sua esperienza in due centri di innovazione urbana e sociale (FabriQ a Milano e Incet a Torino), ci ha fatto capire concretamente cosa vuol dire fare Innovazione Sociale nelle città.
Fabio, qual è il progetto di Innovazione Sociale più riuscito a cui hai lavorato?
Sono molto legato a due progetti, entrambi falliti per alcuni aspetti e riusciti alla grande per altri. Faccio una premessa:
Innovazione Sociale per me non è il raggiungimento di un target/obiettivo che ci si era proposti. Innovazione Sociale è un processo e quindi come tale non ha mai un punto di fine. Se a questa caratteristica aggiungi il coinvolgimento di soggetti diversi ciascuno con propri obiettivi che possono mutare nel tempo, ti accorgi che non puoi mai dire con certezza se un progetto di innovazione sociale è riuscito oppure è fallito.
I progetti su cui ho lavorato e a cui sono più legato sono FabriQ e Incet, due esperienze fatte in due città importanti come Milano e Torino.
Partiamo dal primo, ci racconti la storia di FabriQ?
FabriQ è nato nel 2014 a Quarto Oggiaro, un quartiere dormitorio di Milano dove succede molto poco di giorno perché la gente si sposta per lavorare. Quei pochi che lavorano qui hanno delle piccole attività commerciali; non ci sono grandi iniziative culturali; è sicuramente presente il grande tema del welfare assistenziale agli anziani; si vive in una condizione di emarginazione rispetto alle opportunità lavorative, culturali e educative offerte dal nucleo centrale della città.
In questo contesto, per volontà del Comune di Milano e con il supporto della Fondazione Giacomo Brodolini e Impact Hub, è nato FabriQ, il primo incubatore in Italia ibrido che viaggia sul doppio binario delle politiche di attivazione dell’imprenditorialità sociale giovanile e quelle di rigenerazione urbana e riqualificazione della vita di quartiere. Questa “doppia natura” è un tratto distintivo e innovativo di FabriQ.
Cosa è successo in questi anni?
In questi anni FabriQ ha restituito quello che poteva al quartiere: ha organizzato cinema sotto le stelle, corsi per grandi e piccini, doposcuola, corsi di robotica e programmazione gratuiti, eventi, conferenze e meeting internazionali portando nel quartiere persone provenienti da altri paesi del mondo. Ha gestito il campo di calcetto sottraendo i ragazzi alla strada, ha dato una mano alle associazioni di quartiere per organizzarsi meglio.
Grazie ai finanziamenti del Comune ha incubato più di 70 imprese e realizzato una quarantina di attività progettuali per animare il territorio coinvolgendo circa un migliaio di beneficiari diretti, tra abitanti del quartiere, donne, immigrati, giovani e (aspiranti) imprenditori e ha ospitato, a partire dal 2017, una decina di realtà nei propri spazi di coworking. Le imprese incubate (per il 50% ancora attive) hanno saputo raccogliere più di 8 milioni di finanziamenti, oltre a quelli previsti dal Comune.
L’incubatore si è rivelato un’utilissima cassa di risonanza: da un lato ha valorizzato e accresciuto le competenze dei partecipanti ai percorsi di incubazione, dall’altro ha messo in piedi circoli virtuosi di sviluppo di opportunità e iniziative in grado di ridurre il senso di solitudine e aumentare il senso di appartenenza al quartiere.
Gli abitanti del territorio hanno potuto così beneficiare di una rete informale di organizzazioni rese più forti attraverso le attività di FabriQ. E’ la partecipazione alle attività che lega il quartiere al territorio, perché una delle grandi caratteristiche dell’innovazione sociale è che parte dal basso, per il territorio, con il territorio, per i cittadini, con i cittadini.
Oggi FabriQ è giunto alla fine delle sue attività e a giugno abbiamo smantellato il centro.
Qual è il progetto di FabriQ di cui sei più orgoglioso?
Il progetto che mi è piaciuto di più sono state le attività della Scuola STEM – Science Technologies Engineering Math, un doposcuola a cui hanno partecipato tanti bambini. Di solito questo tipo di attività è presente nei quartieri privilegiati, nelle scuole private, e sono a pagamento. Invece noi lo abbiamo fatto con un contributo di 5 euro a settimana, in regime di economia sociale. I ragazzini erano elettrizzati perché non avevano mai visto un robot, non avevano mai visto una stampante 3D, mai lavorato con un computer: piano piano abbiamo insegnato le prime regole della programmazione oppure come gestire il software di una stampante in 3D per farsi un gadget, un giocattolo o come montare un robot. Sono le cose semplici che fanno sempre la differenza per le persone, e le famiglie erano entusiaste perché i ragazzini facevano delle cose utili, non stavano a spasso.
FabriQ è un’esperienza unica: tutti i territori, soprattutto quelli periferici, dovrebbero poter vantare la presenza di questo genere di realtà. Da Quarto Oggiaro (Milano) ci spostiamo in un quartiere di Torino: ci parli brevemente della storia di Incet?
Incet è il Centro di Open Innovation della città di Torino inaugurato nel 2015, una delle esperienze più esaltanti della mia vita. Parliamo di un centro molto più grande di FabriQ, in una zona simile a Quarto Oggiaro. Barriera di Milano è un quartiere in cui erano già presenti delle iniziative dal basso, soprattutto di carattere culturale. Non è uno dei quartieri più effervescenti di Torino, non è tra i più ricchi, ma non è neanche la periferia più profonda.
Incet è una piattaforma per l’incrocio tra domanda e offerta di innovazione, un centro per trasformare idee ricerca e tecnologia in valore condiviso per il territorio e i suoi attori economici e sociali. Mentre Fabriq era un servizio che svolgevamo per il Comune di Milano, Incet è una concessione di bene pubblico gestita insieme ad altri soci.
In questo contenitore hanno trovato posto circa 150 persone: lo hanno abitato, condiviso, utilizzato, vissuto professionalmente.
È un posto che ha creato nuove contaminazioni, nuove relazioni, nuovi progetti, che ha creato un legame verso l’esterno del quartiere attraverso l’organizzazione di tantissime iniziative, eventi e progetti di ogni tipo, a cui hanno partecipato migliaia di persone.
Il successo più grande di Incet è stato quello di aver creato una community interna a questo enorme contenitore. Il successo non risiede tanto nell’impatto generato verso l’esterno, il quartiere, ma nel fatto che ha dato casa a tutta una serie di innovatori che hanno trovato lì l’asset, la struttura per poter lavorare insieme in maniera continuativa. Abbiamo contribuito alla costruzione di comunità creative e alla generazione di nuove idee, abbiamo connesso l’ecosistema torinese a livello internazionale aumentandone il potenziale d’innovazione sociale e tecnologico, abbiamo cercato di attrarre investimenti nazionali ed internazionali per generare uno sviluppo il più possibile duraturo, abbiamo accelerato lo sviluppo di idee in progetti imprenditoriali innovativi e sostenibili, abbiamo favorito l’interazione tra sistema formativo (scuole e università) e sistema imprenditoriale.
Qual è il progetto più importante di Incet?
Con Incet abbiamo realizzato il Progamma Chief Social Innovation Officer. Abbiamo incrociato due esigenze: quelle delle organizzazioni che faticano a innovare perché rimaste ferme su modelli di servizio vecchi che non stanno più in piedi da un punto di vista economico, che provano a fare volontariato e fanno sempre più fatica nel trovare fondi e clienti; e le esigenze dei ragazzi in cerca di lavoro nel campo dell’innovazione sociale ma che non sanno come si fa, non hanno mai visto una offerta di lavoro con su scritto “diventa il nostro social innovation officer”.
Abbiamo organizzato questo percorso selezionando 30 organizzazioni del terzo settore che avrebbero voluto innovare i loro modelli di business e di servizio e 90 ragazzi che avrebbero voluto fare l’innovatore sociale come professione. Gli abbiamo messi insieme per sei mesi dentro Incet: i ragazzi hanno partecipato a corsi e laboratori pratici su come si mette in piedi un progetto di innovazione sociale e, successivamente, abbinati alle aziende, hanno lavorato su progetti di innovazione da realizzare all’interno delle organizzazioni del terzo settore per innovare il loro modo di fare le cose. Alla fine del percorso, aziende e ragazzi, potevano scegliere se continuare a lavorare insieme per realizzare quel progetto. Questa idea dirompente ha avuto tanto successo da essere replicata in tre edizioni. Adesso puntiamo alla quarta.
Fallimento e Successo, le due facce della stessa medaglia, due aspetti fondamentali del concetto di innovazione. Analizzando l’altra faccia della medaglia, quella del fallimento, qual è l’apprendimento che ti porti a casa da queste due esperienze?
Da fine giugno FabriQ non esiste più. Il fallimento non sta tanto nella fine della nostra attività ma nel fatto che il quartiere non lo ha difeso, l’ha lasciato andare come se non fosse nulla. Sicuramente ha fatto la differenza per tutti coloro che hanno vissuto quel posto partecipando alle attività, ma FabriQ ha fallito perché non è diventata un’istituzione del quartiere, non ha saputo creare un legame forte con il territorio.
L’esperienza di FabriQ e Incet evidenziano l’importanza del dialogo continuo. Dialogo tra gestori e proprietà e tra incubatore e attori del territorio.
Fabio Sgaragli
Head of Innovation della Fondazione Giacomo Brodolini, coordina le attività e i programmi di otto centri per l’innovazione urbana e sociale in Italia. Esperto di politiche urbane e processi partecipativi per lo sviluppo locale, collabora con una serie di realtà in tutta Europa ed è curatore di un numero di pubblicazioni sul tema. Dal 2012 al 2015 è stato consulente per i processi di capitalizzazione e disseminazione del Segretariato di URBACT II, il programma Europeo di finanziamento di network di città Europee per il peer learning. Già fondatore e manager del gruppo di Global Sustainability di PricewaterhouseCoopers, ha curato progetti di innovazione in più di 30 paesi del mondo.
La foto di copertina è presa dalla pagina Facebook di FabriQ
Autore / Mina Distratis
Allenatrice di obiettivi. E' convinta che la vita sia una questione di scelte e che la creatività ci salverà.