Oggi non ce la faccio proprio!

A chi non è mai capitato di sentirlo o di pensarlo all’inizio del lunedì mattina? La fatica di alzarsi dal letto e di affrontare il pensiero di aver davanti un’altra giornata lavorativa possono essere momenti di passaggio durante periodi difficili, oppure se presenti quotidianamente e sul lungo periodo possono essere un campanello di allarme per la nostra salute.

Nei casi più cronicizzati, il nostro “Oggi non ce la faccio proprio!” diventa un vero e proprio sintomo, al pari della tosse o del prurito.

Ma a cosa potrà mai riferirsi questo messaggio di sofferenza lanciato dal nostro corpo e dalla nostra mente…
Probabilmente qualcosa non va nel nostro Wellbeing (o benessere!) all’interno del nostro contesto lavorativo. Tale concetto veniva riferito inizialmente solo ad un benessere fisico ma, grazie alla sensibilità sociale e all’interesse scientifico anche per le componenti psico-sociali, è stato ampliato dandone una caratterizzazione di benessere a 360°

Benessere... a 360°

Ad oggi, se possiamo parlare di benessere senza riferirci soltanto all’aspetto fisico, lo dobbiamo soprattutto allo psicologo Elton Mayo, che fu uno dei primi a portare avanti la questione dell’importanza dell’integrità psico-fisica dei lavoratori. Mr. Mayo già nei primi del ‘900 ha portato avanti riflessioni che ad oggi fior fiori di esperti del benessere e Direttori HR portano avanti come se fossero scoperte recentissime: il fatto che gli incentivi economici siano sopravalutati nella questione wellbeing, e che in verità vi sono delle variabili psico-sociali che hanno un impatto molto più forte sul benessere delle persone; l’importanza del lavoro come forma di identità e realizzazione personale; l’importanza di creare una cultura aziendale del benessere…

Ma quindi, da allora, non abbiamo più fatto passi in avanti per quanto riguarda il wellbeing? Beh, certo che sì! Ma partiamo da un punto cruciale, stiamo parlando del Wellbeing di chi?

Di certo del dipendente, ovvio.

 

Elton Mayo

Tipi di wellbeing

Esistono diversi livelli di wellbeing all’interno di un’organizzazione: partiamo da quello a cui stavamo già pensando.

Il Subjective wellbeing (Danna, Griffin 1999) rappresenta il livello di felicità auto-descritta da una persona. Certamente, a chi chiederlo se non al diretto interessato? Esso si compone di:

  • Soddisfazione lavorativa, quale stato emotivo positivo risultante dall’apprezzamento del proprio lavoro;
  • Commitment organizzativo, nella sua componente normativa, quale identificazione con i valori dell’impresa, e affettiva, quale sensazione di essere parte della comunità organizzativa;
  • Affettività positiva, quale alto livello di energia, entusiasmo, apprezzamento, interesse, e affettività negativa, quali stati d’animo avversi come ansia, stanchezza, rabbia.

Parlando di una dimensione soggettiva, dobbiamo anche riferirci alle priorità di ognuno per raggiungere uno stato di benessere. A tal proposito ci viene in aiuto un utile strumento e una utile teoria, quella del Modello di Barrett, nata dall’evoluzione della famosa piramide dei bisogni di Maslow. Questo modello rappresenta una visione completa di quali siano i valori principali di un individuo per raggiungere il proprio benessere. I valori si articolano su 7 livelli: Sopravvivenza, Relazioni, Autostima, Trasformazione, Coesione Interna, Fare la Differenza ed Essere util (Approfondisci: Quando i valori aiutano la crescita professionale?).

Foto di Valeria Ushakova

Dopo il benessere soggettivo, troviamo poi l’Hedonic wellbeing il quale è definibile come la felicità nel breve termine, nel senso di sensazioni piacevoli e mancanza di disagio (Parsons et al., 2019). Pensiamo ad esempio a quei momenti davanti la macchinetta del caffè in cui il collega ci sta raccontando della sua prima avventura sullo skateboard a 50 anni e delle relative cadute rovinose! Quella risata condivisa, quel simpatico racconto, ci aiutano a sostenere la giornata e a rafforzare i rapporti con il nostro team.

Abbiamo poi l’Eudemonic wellbeing, che va oltre il semplice concetto di piacere. Il termine deriva dalla parola greca daimon, la quale indica il “vero sè”. Si tratta quindi di una forma di benessere che punta al vivere in uno stato di massima realizzazione di sè stessi. Possiamo ben dire, quello a cui tutti miriamo?

Infine vi è il “Social Wellbeing”, che riguarda la qualità delle relazioni e delle interazioni (in base ad esempio alla cooperazione, fiducia, supporto, scambi tra leader e membri di un team, il sentirsi incorporati nella comunità lavorativa).

Una cosa è certa: tutte queste sfere del Wellbeing sono tra loro connesse; per fare un semplice esempio, come può esistere un Hedonic Wellbeing senza che vi sia un adeguato Social Wellbeing?

La questione Wellbeing sembra dunque molto complessa e articolata al suo interno, ma alla fine dei conti, nel viverla, alquanto semplice: stiamo parlando di se e quanto stiamo bene nel nostro contesto lavorativo. 

Così semplice… ma così complicato!

Foto di Monstera

Foto di copertina di Andrea Piacquadio

Autore /

Psicologa con la passione per le organizzazioni. Lavora pensando ai contesti, alle relazioni e alle emozioni. Viaggiatrice incallita e insospettabile nerd, ama i giochi da tavolo e il teatro.

Cosa stai cercando?

If you are planning to visit Dubai and are looking for a beautiful dubai escorts girl, you have come to the right place.