Mobilità Bene Comune
- Marta Romano
- Giugno 8, 2022
La qualità della vita delle persone è strettamente correlata all’accesso alla mobilità, poiché facilita o rende possibile tutto ciò che facciamo durante la nostra vita quotidiana. È molto più che andare da A a B: la mobilità è diventata un bisogno fondamentale per le persone.
Mobilità sostenibile ed inclusione sociale
La transizione verso la mobilità sostenibile è una delle sfide chiave della società odierna. È una transizione molto complessa e coinvolge una moltitudine di attori: la politica, la scienza, i cittadini e l’industria. Oggi sappiamo quanto importante e critico sia l’impatto della high-carbon mobility sull’ambiente: tuttavia, essa ha un impatto anche dal punto di vista dell’inclusione sociale.
Da un report dell’International Transport Forum (ITF) dell’OECD emerge una stretta correlazione tra reddito, inclusione sociale e mobilità. Infatti, le popolazioni a basso reddito hanno accesso ad opzioni di trasporto limitate, hanno a disposizione servizi di trasporto di qualità inferiore e viaggiano in condizioni peggiori (sicurezza, affidabilità, comfort). Tutto questo si traduce in molti casi in limitazioni all’accesso al mondo del lavoro, ad un’istruzione di qualità, alle strutture sanitarie, ma anche ad informazione e nuove tecnologie, dando vita a quella che viene definita la “poverty trap”.
Mobility as a Commons (MaaC)
Da questa riflessione, da alcuni anni si è sviluppata l’idea di Mobility as a Commons (MaaC). Oggi siamo sempre più abituati a parlare di Mobility as a Service (MaaS), specialmente nelle metropoli. Il concetto di “Mobilità come Bene Comune”, però, contiene al suo interno un interessante cambio di paradigma, ovvero la necessità di ripensare insieme la mobilità, definendola non soltanto come qualcosa di astratto che alimenta l’economia, ma come qualcosa da condividere insieme come comunità.
Di conseguenza, potremmo definire la mobilità come uno dei “servizi urbani di interesse comune” che, come racconta Christian Iaione, professore di diritto e politiche urbane, hanno il compito di rispondere ad una serie di esigenze del cittadini, sono
“funzionali al benessere delle comunità, come all’esercizio individuale dei diritti di cittadinanza: qualità della vita e del lavoro, socialità, mobilità, svago, condivisione, senso di comunità, possibilità di coltivare capacità e passioni sono tutte cose che risentono immediatamente della maggiore o minore qualità delle infrastrutture di uso collettivo che una città è in grado di mettere a disposizione dei propri abitanti”.
Il concetto di bene comune presenta, storicamente, due criticità: un diffuso disinteresse dei cittadini e la mancanza di risorse pubbliche.
Rispetto alla prima criticità, gli economisti hanno teorizzato la “tragedia dei beni comuni”, indicandola come la situazione in cui gli individui utilizzano e usufruiscono del bene, senza però contribuire al suo mantenimento. Probabilmente, lo scarso coinvolgimento dei cittadini nella progettazione e nella tutela di un bene comune ne è – al tempo stesso – conseguenza e causa.
Se si intende la mobilità come bene comune, dunque, si può capire quali possano essere le problematiche più diffuse.
Sarebbe utile pensare a queste problematiche come un modo per ragionare su nuove idee, per provare ad accogliere nuove opzioni e soluzioni, ispirandosi magari ad altre realtà, valorizzando buone pratiche e modelli già esistenti. Per esempio, si fanno sempre più concreti e diffusi i momenti di progettazione partecipata in cui i cittadini diventano co-protagonisti nella cura e nella realizzazione di spazi e servizi pubblici di interesse per la comunità.
Considerare la mobilità un bene comune potrebbe portarci a considerare in maniera differente il suo impatto sull’ambiente e sulla crescita economica e sociale di una comunità. La mobilità ha un ruolo centrale nella vita delle persone ed ha un impatto sul benessere (e ben-essere) dei cittadini.
La seconda criticità, invece, è quella della scarsità di risorse pubbliche.
Tuttavia, già Demostene ricordava che “esiste un’isola di opportunità all’interno di ogni difficoltà”. Non sarebbe giusto ignorare come la scarsità di risorse abbia dato una spinta decisiva verso la creazione di città, auto e società più “green” e sostenibili. Allo stesso modo, le difficoltà potrebbero tradursi in una nuova strategia, innovativa e fuori dagli schemi, che comporti la cooperazione e la collaborazione tra più soggetti pubblici e privati, in grado di responsabilizzare i fruitori stessi del bene pubblico, in un’ottica di sussidiarietà e cittadinanza sempre più orizzontale.
Commoning Mobility
In questo interessante articolo pubblicato nel 2019, diversi studiosi hanno provato a dare forma al “commoning mobility”. In particolare, teorizzare la mobilità come bene comune porta con sé un enorme potenziale: rivalutare la mobilità non solo come libertà individuale ma intenderla anche come bene collettivo, aprendo la strada ad una transizione verso una maggiore inclusione sociale e la sostenibilità.
Trattare la mobilità urbana come bene comune, dunque, significherebbe introdurre anche il concetto di gratuità. Un concetto che, a dire il vero, non è una novità. La prima iniziativa di questo tipo è del 1971: protagonista la città francese di Colomiers, 40 mila abitanti nella regione della Haute Garonne, nel sud della Francia. Nel tempo l’iniziativa ha affascinato altre municipalità con iniziative di gratuità parziale, su alcune tratte o in alcuni giorni della settimana, per incoraggiare l’uso del mezzo pubblico o come misura straordinaria per ridurre la concentrazione di agenti inquinanti nell’aria. Tra i primi a seguire l’esempio francese, poi, ci fu proprio una città italiana, Bologna, che nel 1973 introdusse nel piano di trasporto pubblico cittadino la gratuità del servizio a fasce orarie prestabilite.
Esempi isolati o buone pratiche replicabili?
Se volessimo guardare il bicchiere mezzo vuoto, diremmo che l’esperienza bolognese si risolse in un nulla di fatto, dal momento che la giunta comunale incontrò alcuni ostacoli, come il bilancio negativo dell’Atc, e in tre anni il progetto venne messo da parte.
Se volessimo guardare il bicchiere mezzo pieno, invece, guarderemmo a quante altre città nel corso degli anni hanno seguito l’esempio bolognese, seppur con diversi gradi di partecipazione pubblica.
Solo per citarne alcuni, Tallin è stata la prima capitale europea ad introdurre – nel 2013 – la gratuità sull’insieme della rete. Una decisione presa dopo la crisi economica del 2008 che aveva reso il costo della mobilità troppo oneroso per la maggior parte dei residenti. Dal 2018, poi, la gratuità è stata estesa a tutte le linee di autobus su tutto il territorio nazionale estone. Dal 2020, invece, i mezzi pubblici del Lussemburgo sono completamente gratuiti.
Che siano esempi isolati o meno, sono strade nuove ed interessanti che occorrerebbe approfondire o – quantomeno – conoscere, soprattutto in un’ottica di transizione verso una mobilità sostenibile a 360°.
Questo non è certo un passaggio semplice, soprattutto perché implica trasformare atteggiamenti e aspettative su come viene concepita e gestita la mobilità, ad ogni livello. Significa ricostruire le relazioni tra cittadino ed istituzioni, riconnettere un tessuto sociale ad oggi sempre più sfilacciato e ricostituire un sistema di relazioni che implichi molti più attori – pubblici e privati – e molti più livelli.
Per concludere…
La mobilità del futuro è ancora tutta da disegnare e da immaginare: sarà importante provare ad immaginarla tenendo insieme i tanti elementi che la compongono.
Per esempio, è bello immaginarla davvero accessibile ed inclusiva.
D’altronde, potrebbe definirsi sostenibile, altrimenti?
Autore / Marta Romano
Curiosa, determinata, entusiasta, lucana. Grande attitudine al cambiamento ed all'innovazione. Credo fermamente nella gentilezza.