Mobilità sostenibile e progettazione urbanistica delle città – Intervista con Paolo Pileri

Il Prof. Paolo Pileri insegna Pianificazione e Progettazione Urbanistica al Politecnico di Milano, è consulente per progetti nazionali e internazionali ed è ideatore e responsabile scientifico del progetto di ciclovia VENTO nonché saggista e articolista in particolare per quanto riguarda l’inclusione del tema del suolo e delle questioni ambientali, ecologiche e paesaggistiche nella pianificazione territoriale e urbanistica.

Lo abbiamo intervistato per capire in che modo la progettazione urbanistica delle città sia legata alla mobilità “sostenibile”. 

Il concetto di mobilità sostenibile spesso e volentieri viene inteso come il muoversi in bici oppure con la macchina elettrica. Qual è invece la sua idea di mobilità sostenibile?

Chiariamo subito che la mobilità attuale non è sostenibile per numero di auto e abuso del suo utilizzo anche per piccoli spostamenti, a volte anche sotto i 500 metri.

Il primo principio per volere una mobilità veramente sostenibile è ridurre drasticamente la mobilità in auto e quindi il numero di auto, specie nelle città, specie nelle aree più centrali, sicuramente laddove ci sono già mezzi pubblici. Questa è la prima questione su cui lavorare con una campagna educativa che sia in grado di cambiare significativamente gli stili di vita rompendo l’abitudine molto diffusa di usare l’auto anche solo per fare poche centinaia di metri per andare dal panettiere. Questa è la prima importante cosa da fare. Introdurre in città le biciclette o le biciclette a pedalata assistita o il motorino elettrico o il monopattino, e tutte le forme di mobilità che chiamano sostenibili, senza togliere le auto, vuol dire non raccogliere i risultati sperati e quindi non fare una buona pianificazione e probabilmente buttare via soldi pubblici. Quindi lo slogan sotto il quale mettersi dovrebbe essere: più bici, più monopattini, più forme di mobilità sostenibile, (molte) meno auto. Ecco la formula della mobilità sostenibile.

Dobbiamo stare attenti a non pensare che le politiche di mobilità sostenibile siano solo delle politiche che aggiungono ulteriori forme di mobilità su, come dire, una piattaforma (le nostre città e paesi) già satura, congestionata e che si porta dietro, come dicevamo prima, molte cattive abitudini. Questa è la prima questione da chiarire. Dopodiché possiamo discutere sulle forme, possiamo discutere sulle infrastrutture, sulle intermodalità e su tutte quelle opzioni che sono necessarie.

A proposito di “muoversi in maniera sostenibile”, la vedo con la maglietta con la scritta VENTO e credo che qualcosa ci possa raccontare in merito.

VENTO sta per VENezia-TOrino ed è una proposta (di cui vado molto orgoglioso) che il mio gruppo di ricerca al Politecnico di Milano ha fatto al governo italiano e ai governi delle regioni lungo il Po, già una dozzina d’anni fa, per investire in una grande e lunga ciclabile di 700 km, tra Venezia e Torino.

Si tratta di un progetto di ciclabilità per il tempo libero e per viaggiare, ben diverso quindi dalla ciclabilità urbana. Sono due mondi che dall’esterno possono sembrare la medesima cosa ma in realtà prevedono tecniche di progettazione e di pianificazione assai diverse. Faccio un piccolo esempio. Chi si muove ogni giorno per andare al lavoro in bicicletta, ha necessità di avere tempi certi. Si tratta di persone che percorrono tutti i giorni sempre gli stessi tre quattro chilometri e possono quindi a tutti gli effetti essere considerati degli esperti di quel tragitto. Queste persone hanno delle esigenze specifiche come, per esempio, quella di trovare a destinazione un luogo dove mettere la bicicletta. Non gli interessa un granché di quello che c’è tra il punto di partenza e quello di destinazione: devono semplicemente e rapidamente arrivare al lavoro in modo sicuro. Al contrario, chi usa la bicicletta per il tempo libero è più interessato a quello che c’è tra il punto di origine e di destinazione: paesaggi, soste, posti dove mangiare, la vita della gente, tutte le occasioni culturali e così via. E quindi il disegno stesso della ciclabile cambia.

Un progetto come Vento di 700 chilometri necessita di essere pensato nella sua totalità e non può essere fatto a pezzetti dai 120 comuni interessati: diventerebbe una arlecchinata, dove ognuno fa un pezzo diverso quando vuole, mentre se tu devi fare un viaggio in bicicletta (che è l’obiettivo delle grandi ciclabili turistiche in tutta Europa) devi avere la garanzia che i 700 chilometri siano fatti tutti garantendo completa continuità e siano fatti tutti con gli stessi principi, identificabili e percepibili da tutti nello stesso modo. Quindi, devi mettere in moto un altro modo di progettare e realizzare. Questo è lo sforzo che abbiamo provato a fare. VENTO si sta realizzando purtroppo un po’ troppo lentamente per i miei gusti, ma comunque si sta realizzando, proprio in questo momento.

Ultima cosa che bisogna dire è che questo progetto rappresenta un modo nuovo di generare lavoro. In Europa le grandi ciclabili turistiche ben fatte (vedi caso austriaco del Danubio o l’Elba in Germania) arrivano a tenere in piedi cinque posti di lavoro per chilometro! E sono cinque posti di lavoro preziosissimi perché nascono nelle aree più marginali, più esterne, più fragili e sono coperti da persone che gestiscono bed&breakfast, piccole osterie, piccoli esercizi commerciali e luoghi della cultura: un mix di lavoro bello e sano che noi potremmo mettere o rimettere in movimento in questo momento nel Paese grazie a infrastrutture lente del genere di VENTO, che costano cento volte meno che un’autostrada e hanno un alto rendimento in termini di produzione di lavoro di qualità. I nostri giovani potrebbero custodire bellissimi luoghi, dialogare con persone che vengono da tutto il mondo mostrando il bello del nostro paese, delle tradizioni, del territorio e lavorare assieme lungo una linea. Quindi, come dire, con la mobilità sostenibile noi possiamo costruire lavoro e contemporaneamente rigenerare luoghi abbandonati. Pensate quante cascine potrebbero diventare dei bei bed&breakfast. Possiamo creare multifunzionalità tra piccole aziende.

Anche in questo caso bisogna imparare a ragionare in modo sistemico, mentre oggi la nostra politica, ragionando sempre per singoli comuni, continua a lavorare in modo frammentato e questo è drammatico, se ci pensiamo bene, perché vuol dire rinunciare a priori a certe economie e ad alcune pagine di sviluppo del nostro Paese che si dischiudono solo lavorando assieme lungo la medesima linea (in questo caso una traccia ciclabile e camminabile). Quindi VENTO non è una semplice ciclabile, è veramente un progetto di territorio

Questa frammentazione di cui parla in che modo è figlia della prassi del “trovo un progetto per andare a intercettare il finanziamento” piuttosto che “ho un’idea di progetto e cerco qual è il finanziamento migliore per realizzarlo”?

Questo punto mi è molto caro e al tempo stesso molto dolente. Lo dico sempre anche ai miei studenti: “Mi raccomando ragazzi, vengono prima le idee, poi i soldi. Se vengono prima i soldi e poi le idee, siete già corrotti (culturalmente, ovvio). Ma non perché il soldo corrompe le persone, corrompe le idee! Capite?” Vuol dire che ti riduci al ruolo di chi sta alla finestra e aspetta che arrivi un qualsiasi finanziamento che userà anche se non ne ha bisogno accumulando ‘cose’ che assieme magari non c’entrano nulla o si contraddicono pure. 

Qualche tempo fa ero in una località in montagna in una piccola valle dove sette anni prima, ricordo, hanno intercettato un finanziamento per mettere la banda larga e quindi con tanto di lavori di scavo nella pavimentazione per posare la fibra. Peccato però che giusto un paio di anni prima avevano appena rifatto la strada che così hanno dovuto danneggiare per una fibra a cui nessuno si è poi mai connesso! Il risultato è che ora il manto stradale è un colabrodo di buchi ed è diventato pericoloso per ciclisti e auto. È una storia come tante: acchiappano un finanziamento inutile – ma tanto fa brodo – che non solo non genera i risultati attesi, ma procura spese insostenibili per chi lo ha catturato. Un risultato drammatico.

Allora la questione qual è? È che bisognerebbe davvero che i Comuni sviluppassero la capacità di produrre idee e, aggiungo, assieme. E per quelle idee cercare i finanziamenti, smettendo di cadere nel trappolone del cosa vogliono gli altri.

Tornando a VENTO, sto cercando di portare sul tavolo dei decisori anche la capacità di decidere alla scala della lunga linea lenta. Ci sono tantissime linee lente con le quali potremmo lavorare: i sentieri alpini, le ciclabili, le vie medievali, i cammini, la via Francigena, le vie del sale, etc. Abbiamo tante linee su cui potremmo coltivare spazio idee di sviluppo turistico o escursionistico. Ma lo possiamo fare solo se immaginiamo di poter “infilare” i piccoli paesi di un territorio, un po’ come si fa con le perle di una collana, e dar loro una possibilità di sviluppo sostenibile e compatibile con loro. Ma si deve avere poi la capacità di andare a dire alla politica: “Allora, questa è una buona idea! Organizziamo i finanziamenti per questa buona idea!”. Sarebbero utili delle piccole chiamate per idee (call for ideas) e, con una grande commissione tecnico-scientifica, selezionarle, aiutarle ad aggregarsi laddove necessario. Noi tecnici siamo a disposizione, che lo Stato non ci utilizzi è un atto di puro autolesionismo.

Qualche anno dopo aver immaginato VENTO, abbiamo inforcato le nostre biciclette. Abbiamo cominciato ad andare per i paesi e per le piazze con un’iniziativa che chiamavamo VENTOBiciTour, a spiegare a cittadini, imprese, aziende agricole, sindaci, il perché di una ciclabile di questo tipo. E hanno capito! E mi fa molto piacere. Ma non vi nascondo che molti mi chiedevano: “Ma scusa perché lo fai? Hai delle proprietà da qualche parte?‘” Ormai oggi siamo abituati a pensare che ognuno di noi fa delle cose perché ha un suo interesse, un suo tornaconto. Ecco, noi dobbiamo invece abituarci a fare delle cose per il tornaconto di tutti, per il tornaconto del Paese. Se io faccio il tuo interesse non è detto che faccia gli interessi di tutti, mentre se io mi interesso a tutti faccio anche il tuo di interesse. Questo è un concetto che se viene spiegato viene “sentito”. E purtroppo oggi questo non viene fatto.

La mia proposta è di far lavorare sullo sviluppo del territorio gli universitari indipendenti e i centri di ricerca che sono pagati con i soldi pubblici proprio per aiutare Stato e Governi Locali a riflettere sulle necessità pubbliche di tutti, anche delle imprese. E di smetterla di far riferimento agli amministratori delegati delle grandi aziende che se producono pneumatici vi diranno “fate auto”’, se vendono benzina vi diranno “facciamo più distributori”, è evidente!

Parliamo di riprogettazione delle città o meglio, più in generale, delle aree urbane e periurbane. Qual è l’ottica da utilizzare quando si pianifica un territorio in ottica “mobilità sostenibile”?

La questione della mobilità sostenibile fa parte, dovrebbe far parte, di un’idea di città sostenibile. Il che vuol dire prendere una lente e cominciare a vedere tutto quello che è la città di oggi da un altro punto di vista. É evidente che più si continua a fare parcheggi, più il messaggio è “continuate a utilizzare le auto“. Le forme di mobilità che oggi ci sono, e sono molteplici, devono essere viste in un’ottica di sistema. La mobilità tra i luoghi sistematici (come la scuola e il lavoro) deve essere oggetto di una pianificazione che aiuti le persone a muoversi a piedi o in bicicletta. E quindi è lì che devo cominciare ad investire, ad esempio, nelle ciclabili. Faccio un esempio: durante il covid una delle iniziative è stata quella di dare degli incentivi ai grandi comuni per poter investire in forme di mobilità sostenibile e in infrastrutture per la mobilità sostenibile, senza però dare indicazioni da dove iniziare. E quindi molto spesso alcune città hanno deciso di fare queste ciclabili temporanee, ma non tutte in modo intelligente ed efficace. Purtroppo il legislatore si è preoccupato di come assegnare i soldi, non di come fare le cose. Se prendiamo in esame le città universitarie come Padova, Milano, Roma, bisognerebbe fare la ciclabile collegando la stazione al polo universitario, perché i giovani sono una categoria che è più propensa all’uso della bicicletta, del monopattino e di altre forme di mobilità sostenibile. Ora l’hanno capito e i prossimi finanziamenti prevedono di iniziare dai collegamenti tra università e stazioni (evviva!). Se si riuscisse a spostare una parte della popolazione sulla mobilità in bicicletta, si alleggerirebbe la rete delle metropolitane, come ad esempio è successo a Milano. Se invece si fa la ciclabile temporanea da tutt’altra parte, che collega tutti altri punti, è evidente che non troviamo la possibilità di avere successo nell’utilizzo di una mobilità sostenibile. Bisogna mettersi attorno a un tavolo e ragionare per obiettivi prima di agire.

Secondo lei da parte degli urbanisti c’è una sufficiente cultura e attenzione sulla questione della sostenibilità e della mobilità sostenibile?  

Gli urbanisti sono distratti! Potenzialmente sono una potenza, ma poi a terra lasciano altre tracce e forse subiscono troppi condizionamenti o credono ancora poco ai cambiamenti forti. Comunque alcuni che ci stanno provando ci sono. Noi oggi dobbiamo ragionare in modo molto deciso, e dico una parola che non piace alla politica e non piace neanche agli urbanisti, in modo radicale. Quindi è evidente che, per quanto riguarda le nostre città, oggi usciamo da una stagione di urbanistica con dei compromessi creati nel passato. Che non ci possiamo più permettere. E quello che abbiamo sotto gli occhi ne è l’esito perché è evidente che se tu hai davanti dieci opzioni di mobilità, ma continui a mantenere, come dire, in modo facilmente accessibile l’uso dell’auto, le persone continueranno a usare l’auto. Quindi non è che gli urbanisti non ci sono o non sono sensibili. Lo sono meno rispetto a quella che è la necessità di oggi. E continuano sia loro che la politica a muoversi sul binario del compromesso. Perché tutti hanno fondamentalmente paura a introdurre delle azioni più convincenti. Forse non hanno argomenti a sufficienza da presentare ai cittadini che peraltro hanno dimostrato spesso di essere più pronti ad accettare il cambiamento di quanto si creda.

Che peso gioca la politica in questo momento?

La sensazione è che dalla parte politica non ci sia sufficiente preparazione né visione né consapevolezza di quello che oggettivamente sarebbe necessario fare.

Continuiamo a muoverci sull’onda dell’impulso economico-finanziario. Faccio un esempio. Molti comuni sono dotati di colonnine per la ricarica delle automobili elettriche. Questo perché è stato fornito un impulso molto forte da parte delle unità finanziarie delle varie industrie che vendono energia, le quali sono riuscite a convincere facilmente i sindaci da un lato e a ottenere degli incentivi dai governi per poter piazzare queste colonnine, dall’altro. È incredibile vedere che quando arrivano degli input dall’esterno (e sempre dai soliti ambienti finanziari, economici, industriali) la politica immediatamente si adegua. Perfino nei Comuni più piccoli. Abbiamo bisogno che questo tipo di disponibilità e proattività venga spostata davvero verso una mobilità sostenibile, che è quella del “senz’auto” e che utilizzi in primis i nostri muscoli. Perché un’auto per portare una sola persona continua a occupare venti metri quadrati e ha una massa di centinaia di chili. Stiamo parlando quindi di un oggetto che ha un motore per muovere se stesso più che il conducente. È un disastro energetico. Se poi questo disastro energetico lo utilizziamo per fare pochi metri veramente non abbiamo capito nulla. Purtroppo oggi abbiamo una configurazione urbanistica tale da non poter fare a meno dell’auto. Ma laddove se ne può fare a meno bisogna in tutti i modi, appellandosi a qualsiasi principio, riuscire a farne a meno. Ad esempio, se si costruiscono stazioni dell’alta velocità al di fuori dei centri cittadini (come ad esempio a Reggio Emilia) non si devono poi costruire anche dei mega parcheggi (come si è appena dannatamente fatto), che non faranno altro che attivare altra mobilità su auto, ma utilizzare le risorse che si hanno per rinforzare i collegamenti con le stazioni ferroviarie del centro e dei comuni limitrofi. Ma vedo che ancora si fanno cose vecchie e insostenibili.

Forse per convincere la politica che alcune cose si possono fare, serve appunto qualcosa che dimostri che è possibile realizzare le cose bene e pure sensatamente. Vi sono esempi a cui ci si può ispirare in Italia o anche all’estero? O vi sono esempi di cose da evitare?

Tante città hanno lavorato in questi anni raggiungendo dei livelli molto interessanti di mobilità sostenibile come per esempio Ferrara, la stessa Reggio Emilia, Bolzano e pure Milano. Ci sono dei lavori che sono stati fatti in questi ultimi anni che però non sono sostitutivi. Mi spiego: a Milano ho un ventaglio di opzioni con cui muovermi. Certo, nell’area C oggi devo pagare, quindi sono disincentivato ad andare e questa è una buona politica. Vero è che per il resto io posso scegliere praticamente di muovermi come voglio ovunque. E questa non è secondo me la strada migliore che si possa scegliere, soprattutto in città come Milano, che hanno un sistema di trasporto pubblico efficiente. Quindi perché continuare a consentire alle persone di muoversi in auto? Tenete conto che in questo momento la congestione da traffico a Milano è addirittura aumentata rispetto ai periodi pre-Covid. Vuol dire che tutto l’investimento che si è fatto in mobilità sostenibile prima di Covid non è servito a nulla o quasi. Perché, di nuovo, quello che dobbiamo dire a tutti é che non basta fare le infrastrutture: occorre costruire le condizioni culturali affinché le persone cambino e non tornino più indietro. Ecco, questo è un lavoro che deve fare la classe politica facendosi aiutare dai professionisti, dalla classe intellettuale e dirigente. 

A Copenaghen se oggi noi abbiamo tra il 35% e il 40% di mobilità urbana che avviene esclusivamente in bicicletta, lo si deve al fatto che oggi non è possibile possedere una seconda auto se non pagando delle cifre molto elevate. È praticamente quasi impossibile trovare un posteggio in città se non con un pagamento molto alto. Ma tutto questo sarebbe stato comunque insufficiente se non accompagnato da un investimento sulla promozione di un cambiamento culturale: le persone devono capire che con la loro scelta, il loro passare dall’auto alla bicicletta anche a febbraio con meno dodici gradi per accompagnare i figli all’asilo in bicicletta con la neve, partecipano con il loro sforzo alla riduzione del problema del cambiamento climatico. Ovviamente questo necessita anche di rivedere le politiche degli orari per cui un genitore può accompagnare il figlio a scuola in bicicletta, parcheggiare la bicicletta e prendere la metropolitana o il treno per andare a lavorare con la sicurezza. È evidente che investimenti in sostenibilità e spinte culturali devono andare di pari passo. Se gli amministratori e i politici questa cosa non sono in grado di farla, non si ottengono risultati.

Professore. La ringraziamo di cuore per questa interessantissima chiacchierata che ci lascia tanti spunti, che si aggiungono a quelli che troviamo sempre nei suoi articoli. Auguriamoci che la prossima volta che ci sentiremo si possa dire che ci sia stato un progresso in materia. O che sia almeno iniziato un trend.

Certo, noi saremmo contenti di poterci dire fra qualche anno “guardate, per esempio, tutti i comuni lungo VENTO stanno lavorando assieme a un grande piano” Sarebbe per me il sogno. oppure “Tutti i comuni lungo la ciclovia del Brennero stanno lavorando assieme per..” E così via. Sarebbe veramente molto bello. Capiterà? Speriamo che capiti. Per chi vuole, visto che avete citato gli articoli, ricordiamo a coloro che sono interessati che possono andare sul sito di altreconomia.it, nella rubrica Piano Terra, dove provo a raccogliere alcune idee e a riproporle a chi ha voglia di leggerle.

E grazie a tutti voi. Buone cose e buona buona sostenibilità!

Ecosystem Builder, practical philosopher, nomade digitale ed esploratore (extra) urbano con una particolare passione per i concetti di 'miglioramento' e di 'sistema complesso'

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